Lo sciopero dei commercialisti è ormai alle porte: per la prima volta la categoria professionale viene invitata all’astensione dell’attività lavorativa dal 26 febbraio al 6 marzo. Si tratta, almeno sulla carta, di un periodo “caldo” nel quale cade un importante adempimento e cioè la dichiarazione IVA. Ma c’è da chiedersi quali sono i veri obiettivi che ci si prefigge con tale sciopero e se essi siano realmente raggiungibili.
Le ragioni dello sciopero dei commercialisti
Negli ultimi mesi è emersa, in modo sempre più evidente, l’esigenza di una semplificazione degli adempimenti fiscali.
Chi si è fatto portavoce di questa esigenza è stata la categoria dei dottori commercialisti ed esperti contabili che, da sempre, è in prima linea quando si tratta di assistere i propri clienti a districarsi tra le norme fiscali.
Si sono quindi succeduti diversi tavoli tecnici a cui hanno partecipato i diversi attori interessati (da una parte l’Amministrazione finanziaria e dall’altra le associazioni rappresentative delle imprese nonché, appunto, le categorie professionali intetessate).
Tutto sembrava andare per il verso giusto, quando, come un fulmine a ciel sereno, con il decreto fiscale di fine anno (D.L. n. 193/2016), invece di ottenere il tanto agognato snellimento degli adempimenti se sono stati addirittura introdotti di nuovi e più pressanti.
Ci si riferisce alle nuove comunicazioni periodiche IVA (quella delle fatture emesse e ricevute e quella delle liquidazioni periodiche).
Ciò è stato visto come una sorta di “tradimento”, una pugnalata alle spalle a chi, sino a quel momento, aveva fermamente creduto nello sfoltimento e razionalizzazione dei numerosi (e molte volte inutili) adempimenti.
La protesta è iniziata a montare tra i commercialisti e, dopo qualche “timido” comunicato di disappunto, è sfociata in una manifestazione di piazza (la prima) tenutasi a Roma il 14 dicembre 2016.
In quella occasione, le sigle sindacali di settore (Anc, Adc, Aidc, Andoc, Unagraco, Ungdcec, Unico) hanno proclamato lo sciopero nazionale, su cui si è espresso, con parere positivo, anche il garante.
Nel comunicato congiunto con cui tali associazioni hanno reso ufficiale il periodo dello sciopero si fa riferimento agli “ultimi provvedimenti legislativi, quali il D.L. 193/2016 e la Legge di Stabilità 2017” che “hanno disatteso le aspettative di semplificazioni aggravando gli adempimenti e disconoscendo ancora una volta il rispetto dello Statuto del contribuente”.
Pertanto, si è resa “necessaria una azione più netta e decisa per dare voce e corpo alla protesta ed al rifiuto della ormai inaccettabile vessazione dei contribuenti e dei professionisti che li affiancano per assisterli ed aiutarli”.
Lo sciopero dei commercialisti servirà davvero?
Se questo è il prologo, in attesa di capire quale sarà l’adesione allo sciopero dei commercialisti, c’è da chiedersi se l’astensione riuscirà a sortire qualche effetto concreto.
A tale proposito, a parere di chi scrive, va sgombrato il campo da facili illusioni.
Se l’obiettivo è quello di avere nell’immediato un ripensamento da parte del Legislatore sui recenti adempimenti introdotti ed, in particolare, sulle comunicazioni IVA, si corre il rischio di fare un buco nell’acqua.
Molto probabilmente si otterrà un loro temporaneo alleggerimento (è già in previsione, con la conversione del decreto milleproroghe – D.L. n. 244/2016, la possibilità, solo per il 2017, di trasmettere le comunicazioni IVA con cadenza semestrale anziché trimestrale) ma poi la norma verrà confermata nella sua totalità.
E ciò si può leggere tra le righe di quanto vanno affermando, negli ultimi giorni, i vertici dell’Amministrazione finanziaria: si insiste sulla compliance quale strumento di lotta all’evasione e si punta il dito contro il settore dell’IVA considerato a forte rischio di evasione.
Quindi, c’è poco da sperare che le nuove norme vengano eliminate.
Piuttosto, invece, è arrivato il tempo di far realmente sentire la propria voce e lo sciopero dei commercialisti può essere un valido punto di partenza.
L’obiettivo vero deve essere quello di dimostrare l’esistenza di una categoria professionale che è fondamentale nel funzionamento dell’intera macchina fiscale.
Una categoria che, finalmente, va considerata come parte importante e attiva del sistema fiscale e, proprio per questo, degna di essere non solo rispettata, ma anche e soprattutto ascoltata, in virtù della sua grande competenza, prima che le decisioni di politica fiscale siano prese.
Se il messaggio che rimarrà dallo sciopero dei commercialisti sarà questo allora sicuramente si saranno messe le basi per qualcosa di veramente utile alla professione, altrimenti, sarà solo un grido di protesta lanciato al vento.