Il 14 dicembre 2016 ha rappresentato una data epocale: per la prima volta, i commercialisti sono scesi in piazza, a Roma, per protestare contro gli ultimi e onerosi adempimenti introdotti dalla manovra di fine anno e che li vedranno impegnati, in prima persona, dal 2017. Ma c’è da chiedersi: è solo l’inizio di una svolta epocale o rimarrà un caso, anche se non isolato, di protesta di una categoria contro un sistema che non vuole ascoltare?
Erano mesi che i commercialisti italiani aspettavano questo momento: scendere in piazza e protestare contro le troppe vessazioni di un Legislatore fiscale che pare proprio non voler ascoltare le ragioni di chi, per professione, ha a che fare tutti i giorni con i troppi e a volte inutili adempimenti fiscali.
Si parlava, ormai da tempo di semplificazioni, erano stati avviati tavoli tecnici a cui si erano seduti anche i rappresentanti della categoria per varare finalmente una calendario fiscale più snello, eliminando gli adempimenti inutili e accorpando, “intelligentemente” gli altri, in modo da evitare ingorghi di scadenze, soprattutto nei periodi estivi.
Tutto sembrava procedere per il verso giusto, ma, con il varo del decreto fiscale di fine anno (D.L. n. 193/2016) è arrivata la doccia gelata: sono stati introdotti nuovi e più onerosi, oltre che inutili, adempimenti, primo fra tutti lo spesometro trimestrale e, per giunta, quasi a deridere chi, in sede di conversione del decreto, chiedeva a gran voce di “semplificare” invece di “complicare”, è stato inserito un ulteriore gruppo di norme fatto passare per “pacchetto semplificazioni” che di semplificazione non hanno proprio nulla (a meno che, non si voglia intendere per tale lo spostamento del versamento delle imposte di Unico dal 16 giugno al 30 giugno!).
A questo punto, è iniziata a montare la protesta fatta non solo di semplici comunicati stampa ma quella vera, quella della base, stufa ormai di continue promesse che si trasformano in ulteriori oneri.
Quindi si è deciso, finalmente di scendere in piazza: a Roma, il 14 dicembre, si sono ritrovati migliaia di professionisti, uniti, arrabbiati e stufi di svolgere una professione, utile e fondamentale per il funzionamento dello Stato (non ci dimentichiamo che qui si tratta di norme che regolano le entrate tributarie e, quindi, lo stesso funzionamento dello Stato), ma senza alcuna minima considerazione da parte di quello stesso Stato che ne trae i principali benefici.
In quell’occasione si è deciso di passare dalla protesta ad uno sciopero vero e proprio (da concordare con il Garante) con l’astensione delle attività lavorative dal 28 febbraio al 7 marzo 2017.
In quel periodo, tutti i commercialisti sono chiamati ad incrociare le braccia e non svolgere alcuna attività lavorativa, non solo nei confronti dei contribuenti, ma, soprattutto, nei confronti dell’A.F.
E qui si viene al punto delicato: premesso che si punta a creare disagi nella trasmissione della dichiarazione IVA (per il prossimo anno in calendario proprio al 28 febbraio), ci si deve chiedere cosa potrà succedere se migliaia di professionisti non invieranno centinaia di migliaia di dichiarazioni IVA.
Come noto, se l’intermediario assume l’incarico di trasmettere una dichiarazione e non lo fa può essere sanzionato dall’AF.
E comunque, il ritardato invio della dichiarazione è a sua volta sanzionabile in capo al contribuente.
A questo punto sorge un dubbio: in caso di sciopero si è poi così sicuri che non scatteranno le sanzioni che, non dimentichiamo, derivano da norme di legge?
Si riuscirà ad ottenere una deroga? E se si, in che modo?
Forse, sarà più probabile che molti colleghi, onde evitare problemi di sorta anticiperanno la scadenza, salvo poi aderire allo sciopero senza però correre alcun rischio personale.
Ma allora c’è da chiedersi: a cosa può servire uno sciopero che non crea disagi se non, eventualmente, ai nostri stessi clienti che potrebbero non capire o “fraintedere” il perché non abbiamo fatto una determinata pratica nei tempi che ci hanno chiesto?
Potrò sembrare una voce fuori dal coro, ma credo che attuare un vero e proprio sciopero per i commercialisti è troppo difficile, troppo complicato e, soprattutto, troppo rischioso.
Ma da qualche parte bisogna iniziare. Ora dopo questo primo “scatto di orgoglio” bisognerà capire come trasformare la rabbia (di essere continuamente ignorati e, per di più, bistrattati), l’orgoglio (di appartenere ad una categoria professionale che fa dello studio e della preparazione la sua forza) e la determinazione (a non continuare a subire passivamente) in qualcosa di veramente concreto e che possa portare a qualche frutto tangibile.
E qui non si può che arrivare al vero nocciolo della questione: occorre rafforzare la rappresentanza della categoria lì dove si prendono le decisioni.
E quindi, da un lato bisogna puntare ad avere quanti più colleghi possibili in Parlamento, dall’altro, bisogna avere vertici di categoria capaci non solo di saper negoziare, ma anche di battere i pugni quando è il caso.
Ma, purtroppo non va dimenticato che, di mezzo, ci sono le casse di uno Stato troppo “distratto” e “vorace” che rischia di lasciarci per molto tempo ancora nella nostra “solitudine”, con la speranza mai divenuta certezza che il nostro grido di rabbia raggiunga alle giuste orecchie.