Un dato è certo: in Italia il livello di evasione fiscale è elevato. Da tempo si cercano soluzioni a questa piaga sociale e tra i tanti strumenti di cui ogni tanto si sente parlare c’è quello del c.d. “contrasto di interessi”: in pratica, ampliare la possibilità di detrarre determinate spese nella dichiarazione spingendo, quindi, il cittadino a richiedere sempre la fattura o ricevuta. Però, ad oggi, non è una strada percorsa a fondo dal Legislatore.
Cerchiamo di capirne il perché.
Per combattere l’evasione fiscale, da alcuni anni a questa parte si stanno introducendo sistemi sempre più avanzati di controllo da un lato e compliace dall’altro, ma i risultati non sono del tutto incoraggianti.
Solo per rimanere sulle misure più attuali, si sente tanto parlare di adempimento spontaneo del contribuente il quale non deve essere visto come il “cattivo evasore che cerca di nascondere al fisco i suoi averi e per questo deve essere braccato”, ma “la pecorella smarrita che ha bisogno di una benevola guida (l’Amministrazione finanziaria) per poter adempiere ai suoi obblighi fiscali”.
Se questo approccio porterà, in termini di recupero di evasione fiscale, davvero i suoi frutti ancora è presto per saperlo, ma ci sono alcuni aspetti che, almeno agli occhi dei più, restano inspiegabili.
Tra questi, c’è la mancata introduzione di un vasto sistema di “contrasto di interessi”.
Cos’è il contrasto di interessi
Il “contrasto di interessi” altro non è che un particolare sistema incentrato, appunto, sull’instaurazione di un contrasto tra l’interesse di chi vende e di chi compra beni o servizi.
In pratica, riconoscendo al compratore (consumatore finale) la possibilità di portare in deduzione o detrazione dalle proprie imposte una parte consistente del valore del bene o servizio acquistato dall’impresa o dal lavoratore autonomo, lo si spinge a chiedere con maggiore convinzione il rilascio del documento fiscale (fattura, ricevuta, scontrino) che attesta transazione dal venditore/prestatore.
Quest’ultimo, quindi, viene “obbligato” a dichiarare il ricavo (pagandoci le imposte) con minore possibilità di evaderle.
Il meccanismo, dunque, è semplice e, va detto, è già utilizzato in alcuni settori (si pensi alle spese sanitarie o alle attività sportive dei ragazzi o, ancora, alle intermediazioni immobiliari).
Ma la proposta, che ogni tanto emerge, è quella di estenderlo a tappeto, coinvolgendo anche altri settori a rischio evasione (ad esempio, le prestazioni degli artigiani, tipo gli idraulici o gli elettricisti o dei liberi professionisti).
Si tratta di una proposta, però, tanto elementare quanto scarsamente utile.
Perché il contrasto di interessi non risolve il problema dell’evasione
Andando un pò più nel dettaglio, è evidente che, instaurando tale meccanismo, a livello prettamente finanziario, per l’Erario, si verificano due eventi, di segno contrapposto:
- da un lato, ci sono maggiori incassi dovuti alle maggiori imposte versate dalle imprese/professionisti;
- dall’altro, si verifica un minore incasso dovuto alle minori imposte che il cittandino versa a causa dell’abbattimento del suo reddito/imposte ad opera delle spese dedotte/detratte.
Esiste, quindi, un break even point, un punto di equilibrio, superato il quale l’operazione diventa antieconomica.
Ma il vero problema non sta solo nel capire quando si supera tale punto di equilibrio (che, in un’ottica di lungo periodo potrebbe anche essere tollerato, in quanto una volta emersi, questi soggetti difficilmente nel futuro potrebbero ritornare nel sommerso), ma piuttosto se il meccanismo può realmente funzionare.
Infatti, è possibile immaginare che, a fronte della possibilità di ricevere una fattura subito, per poi fruire della detrazione solo in sede di dichiarazione dei redditi (quindi, anche a distanza di molti mesi), il contribuente potrebbe farsi allettare dalla possibilità (offerta dal venditore/prestatore) di fruire subito di uno sconto ma senza ricevere il documento fiscale.
Questo rischio, chiaramente, è più elevato quanto più basso è il rispamio che il contribuente può ottenere dalla detrazione.
E, di converso, la convenienza a mettere in atto una tale politica fiscale diminuisce all’aumentare dell’eventuale risparmio fiscale in capo ai contribuenti: è, quindi, un cane che si morde la coda!
E, poi, non bisogna dimenticare che, se si optasse per un’estensione del meccanismo (anche a costo di rimetterci in termini erariali), ciò non si tramuterebbe in minori controlli: infatti, come già accade, onde evitare abusi, da un lato il contribuente sarebbe chiamato a porre in essere tutti gli accorgimenti del caso (tra cui la conservazione dei documenti e giustificativi) e dall’altro, l’Amministrazione finanziaria dovrebbe aumentare i riscontri documentali e, quindi, i controlli.
Ciò si tramuterebbe in un aggravio non indifferente nei costi di adempimento.
In definitiva, il contrasto di interessi non può funzionare per combattere l’evasione?
La risposta non è un no secco: forse potrebbe funzionare solo se utilizzata in maniera selettiva (ad esempio, estendendola per settori, a rotazione e solo per determinati periodi) e in aggiunta ad altri strumenti di contrasto molto più evoluti, come, ad esempio, l’impossibilità, in mancanza del documento fiscale, di fruire di determinati benefici (non solo fiscali) o di compiere determinati atti.