Amazon lancia un nuovo servizio: con un costo di 400 euro l’anno effettua tutti gli adempimenti Iva per quei contribuenti che utilizzano la piattaforma di e-commerce, compreso l’invio dello spesometro.
Con 100 euro in più all’anno, è possibile includere anche le transazioni eseguite su canali diversi da Amazon.
La notizia sta suscitando molto clamore e, almeno per quello che si legge sui social, più di qualche preoccupazione da parte di molti commercialisti italiani.
Ma è davvero il caso di preoccuparsi seriamente? Forse no o almeno non in modo così apocalittico.
Come sta cambiando la professione
Per capire la questione è bene fare un piccolo passo indietro.
E’ evidente, infatti, che è già da un po’ di mesi a questa parte che ci sono alcuni segnali che la professione del dottore commercialista si trova nel pieno di una “tempesta perfetta“.
Accanto agli storici “nemici”, rappresentati da tutte le cosiddette professioni non regolamentate, via via si stanno aggiungendo “soggetti ostili” più agguerriti e pericolosi.
E’ recente la norma, contenuta nella manovra fiscale di fine 2017, con la quale, l’Agenzia delle entrate, si è “prenotata” per fornire assistenza fiscale, precompilando la dichiarazione IVA e dei redditi, alle piccole imprese e professionisti.
Per non parlare della tanto temuta fatturazione elettronica.
Ora, all’orizzonte, si prospetta un pericolo ancora più grande: l’entrata nel mercato della “consulenza” fiscale delle big companies che operano nel modo di Internet.
Infatti, c’è da scommettere che dopo Amazon anche altri giganti dell’e-commerce e del digitale si attrezzeranno per fornire servizi fiscali ai loro clienti.
Perché si è giunti a questa situazione
Potrebbe sembrare che tutto ciò si stia verificando perchè non abbiamo una adeguata ed autorevole rappresentanza, a livello centrale.
Forse questa può essere una della cause, anche se, ad avviso di chi scrive, è poco probabile che lo sia unicamente.
Qui non si ha più a che fare solo con un Legislatore capriccioso e poco attento alle nostre richieste.
Si è di fronte ad una evoluzione del mercato laddove chi è più forte e meglio attrezzato ha la meglio.
Occorre, quindi, chiedersi: ma davvero la professione dei dottori commercialisti è in pericolo?
Dipende da quale prospettiva si vede il problema.
Forse molto più probabilmente, la professione più che in pericolo è, semplicemente, ad un bivio.
La prima strada, quella vecchia, fatta di adempimenti, di compliance e di assistenza fiscale “spicciola” conduce ad un vicolo cieco.
E’ bene farsene una ragione.
Non è più pensabile costruire o mantenere a lungo termine una carriera professionale basata sulla sola assistenza contabile e fiscale, sulle cosiddette attività a “basso valore aggiunto”.
Per fare questo, prima o poi, si arriverà ad una completa “automazione su larga scala“.
E l’esempio di Amazon va proprio in questa direzione.
Le attività a basso valore aggiunto possono tranquillamente essere svolte con tecniche “industriali”.
E quanto più il sistema dell’informazione e dell’economia digitale prenderà piede tanto più chi opera in questo campo avrà interesse a “fidelizzare” il cliente anche attraverso la fornitura di servizi complementari.
Il servizio di Amazon altri non è che un servizio “post vendita”: ti fornisco la consulenza fiscale, possibilmente a basso prezzo (tanto posso sfruttare le mie enormi economie di scala) e così ti fidelizzo ancora di più!
In un mercato che si evolve rapidamente, sopravviverà solo chi questa evoluzione sarà capace non di combatterla (è una battaglia persa già in partenza) ma di capirla per coglierne le opportunità.
Prospettive future
In questa ottica, allora, fermiamoci un attimo e pensiamo quali possono essere le soluzioni per sopravvivere come professione.
Sarebbe il caso che, anche e soprattutto a livello centrale, si aprissero tavoli per discutere di questo e non solo di come ottenere l’abolizione dello spesometro o il posticipo della fattura elettronica obbligatoria.
Ma ciò non vuol dire che non bisogna iniziare a muoversi dal basso.
E di parole ne possono essere sprecate tante: aggregazione, diversificazione e via dicendo.
Lo sappiamo tutti!
Ma ciò che probabilmente ci sta sfuggendo è che solo lo studio e, quindi, la specializzazione potrebbe essere la chiave di svolta per buona parte di noi, soprattutto per i più giovani.
Quello della specializzazione è in tema di cui si parla sempre più frequentemente, ma ancora con molta diffidenza.
Infatti, si pensa che non sempre è possibile spendere una eventuale specializzazione, soprattutto nelle realtà economiche più piccole e poco sviluppate.
Niente di più sbagliato: davvero al piccolo artigiano non serve affatto sapere che può fruire di determinate agevolazioni o alla piccola impresa non serve affatto capire se il sistema di controllo interno aziendale/amministrativo funziona in modo efficiente?
E’ probabile che tali servizi non verranno mai richiesti, ma, forse, non è proprio così se si è in grado di saperli vendere in maniera efficace.
Certo, non si dovrà trattare di una specializzazione né obbligatoria, né fine a sé stessa.
Occorre che ci sia un reale valore aggiunto e, soprattutto, il riconoscimento legale del titolo che, necessariamente, deve essere affiancato ad un sistema di esclusive.
Resta, comunque, un dato di fatto che, allo stato attuale, si traduce piuttosto in una speranza: in un mondo professionale che si sta, inesorabilmente, appiattendo verso la fornitura di servizi su larga scala, acquisire una conoscenza a “valore aggiunto” potrebbe servire a fare quella differenza che, forse, ci permetterà di sopravvivere senza costringerci a cercare lavoro in una sorta di call center fiscale per conto della big company di turno.